di Emiliano Morrone
Monongah, miniera di carbone nel West Virginia, 6 dicembre 1907, tanti emigrati da San Giovannni in Fiore perdono la vita in una tragica circostanza.
Minatori coi loro figli, trentaquattro, secondo le fonti ufficiali; ma il dato è relativo: i caduti sono di più. Allora, si partiva per la povertà assoluta nella propria terra: non c’era alternativa. La gente era disposta ad accettare i lavori più duri e pericolosi, pur di campare la propria famigia, assieme, nella rischiosa avventura oltre l’oceano, oppure a sognare un futuro più giusto, al calore d’una stanza di paese, una, ricolma e vuota.
Marcinelle, Belgio, miniera di carbone Bois de Cazier, 8 agosto 1956, altri martiri da San Giovanni in Fiore, intrappolati nel buio d’una prigione senza chiave.
Mattmark, Svizzera, 30 agosto 1965, un ghiacciaio dell’Allalin si spezza: una massa enorme colpisce il cantiere per la costruzione d’una diga. I decessi, stavolta, sono ottantotto: cinquantasei operai italiani, fra i quali, diversi da San Giovanni in Fiore.
Le strane coincidenze della storia: Monongah, Marcinelle, Mattmark, Morte, quattro parole annunciate dalla “m”, a segnare il passato di una comunità, quella sangiovannese, sparsa per il globo, ancora oggi, alla ricerca di possibilità negate e dignità nel lavoro.
Tutta la Calabria ha pagato un prezzo altissimo in questi episodi, tornati alla ribalta dopo lo speciale, su Monongah, del periodico La Gente d’Italia.
Oltre cinquemila unità di forza lavoro, partirono a cavallo dei due secoli e, proprio in quel periodo, il 70% delle famiglie del nostro paese contava almeno un congiunto emigrato in Usa. La stragrande maggioranza di questi era composta da braccianti e da contadini, di conseguenza per la maggior parte di loro, non avendo un mestiere alle spalle, la destinazione era quella delle miniere del West Virginia.
A San Giovanni, la nuova generazione sa nulla di questi fatti, di questi lutti, di questi drammi, che hanno avuto - ed hanno - ripercussioni sulla personalità di tanti, finanche giovanissimi. E non lo sostiene chi scrive. Lo psichiatra Salvatore Inglese ha dedicato energie intellettuali e pratica sul campo, per mostrare i risvolti effettivi, di simili eventi, nelle relazioni sociali e in ambito individuale: paura, disagio, chiusura, alterazioni qualitative della realtà, diffidenza, dissociazioni di vario ordine. Questo, in concreto, si traduce, oggi, in un isolamento privo di voce, iniziativa, speranza.
Il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Luigi Fedele, ha proposto di erigere “una stele per i minatori italiani morti a Monongah” e di ricordare, con l’emissione di un francobollo commemorativo, quegli uomini, “disposti a tutto per garantire un briciolo di speranze a loro stessi e ai figli e partiti dalla Calabria, dall’Abruzzo e dal Molise in cerca di occasioni di riscatto“. Fedele, volato a Monongah, sarà ricevuto, assieme ai sindaci di alcuni comuni calabresi, dal presidente Ciampi, sabato 15, alle 12, nella sede del Consolato italiano a New York. Delegato da Riccardo Nencini, rettore della Conferenza dei presidenti dei consigli regionali e delle province autonome, rappresenterà tutte le Assemblee regionali italiane.
Anche il sindaco di San Giovanni in Fiore, Riccardo Succurro, insieme all’assessore alla cultura, Vincenzo Gentile, parteciperà all’incontro. Gentile, laureato in storia, ha studiato il fenomeno dell’emigrazione e ha ricostruito, con una vasta e minuziosa ricerca, la triste e buia verità di Monongah.
Ma se il ricordo e la partecipazione istituzionale, pure dell’informazione, servono a riprendere un capitolo sepolto e dimenticato per troppo tempo, chi può giudicare i postumi della tragedia? Solo i figli dei calabresi coinvolti. A noi tocca un’eredità storica da divulgare, dobbiamo il rispetto nel tempo e l’unione come valore.
Il sindaco Succurro si augura che “una stele simbolica sorga a San Giovanni in Fiore, il comune che più ne rappresenta le perdite umane”. Succurro e Gentile saranno anche a Monongah, venerdì 14, per una cerimonia di commemorazione.
Certo, dall’emersione mediatica, istituzionale e politica di Monongah ci saranno dei cambiamenti nel modo d’intendere l’emigrazione e nel rapporto coi residenti all’estero.
Quelli di San Giovanni in Fiore sono circa 6800.
L’importante è che la città florense non diventi, per l’ennesima volta, quel luogo disgraziato da cui la stampa, spesso, ha guadagnato consensi. E soldoni.
Emiliano Morrone
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