Salvatore INGLESE
capitolo 1
"La
parola del viaggio
è schiava del vento"
Edmond Jabes
Quando sono arrivato
laggiù non sapevo quasi nulla della sua storia né della sua realtà
presente. 1)
Eppure lì avrei incominciato da giovane e inesperto psichiatra.
La mia prima impressione fu quella di un luogo richiuso in sé stesso
avvolto intorno ad un segreto invisibile, claustrale e claustrofobico.
La scarsa luce del pomeriggio e la prima densa nebbia autunnale
imponevano questa sensazione alla coscienza, e la inquietavano.
San Giovanni in Fiore
Fotografia: Francesco Saverio ALESSIO, copyright © 2003
Il primo impatto, la
prima visione riferita dalle persone che già vi lavoravano e che
avrebbero condiviso con me quell'esperienza professionale, era che lì
non vi sarebbe stato molto lavoro: pochi i pazienti, ordinarie le
storie. Il tutto sarebbe stato ricoperto, durante l'inverno, da una
superficie innevata, prima lieve e sottile, poi dura come cemento
bianco.
Il Paese sembrava non aver nulla da dire ad una persona venuta dal
mondo esterno, mentre indizi fuggevoli segnalavano che avevo
attraversato un confine invisibile, ma netto, tra ciò che permaneva
fuori e ciò che, invece, dentro questo territorio risiedeva
silenzioso, contenuto da invisibili briglie. Più tardi, molto più
tardi, sarebbe giunto ad evidenza un lavoro di rimozione collettiva,
implacabile e tenace.
Ma che cosa tutti si sforzavano di rimuovere?
Più tardi, molto più tardi, appresi fortuitamente*,
leggendo un articolo di commemorazione storica della tragedia di
Mattmark, che sette vittime provenivano da questo territorio. 2)
Coinvolto emotivamente nella loro tragica sorte tutto il paese
partecipò all'angoscia che non risparmiava nessuno.
Le autorità, le famiglie, il clero e i politici attivarono un ponte di
lutto e di solidarietà di fronte alla tragedia più importante che
l'emigrazione all'estero aveva fino a quel momento provocato a carico
di questa comunità.*
Di questa vicenda, nel tempo in cui vi lavoravo, scrivevo e ricercavo
(1982-1990) nessuno mi aveva parlato pur essendo noto il mio specifico
interesse per le vicende migratorie.
Venivo mantenuto a lato di tutto questo, anche dopo anni di permanenza
nel luogo, dopo aver conosciuto centinaia di casi e vicende emergenti
dallo sfondo storico dell'emigrazione di massa. Immediatamente ho
giustificato tale comportamento credendo di riconoscervi un modo per
escludermi, in quanto membro esterno, da quella sfera intima che si
cristallizza all'interno di una comunità tramortita da una tragedia
collettiva.
Poi sono giunto alla convinzione che questa radicale strategia di
isolamento e di repressione del dramma, fosse prevalentemente rivolta
ai membri appartenenti di diritto alla comunità.
L'intollerabilità
dell'evento non doveva dunque riemergere alla superficie della
coscienza collettiva quando essa non aveva ancora archiviato il
problema dell'emigrazione come scelta di sopravvivenza.
Pur a distanza di tempo non si poteva ancora riproporre all'attenzione
delle giovani generazioni un evento ancora evidentemente dissuasivo e
minaccioso, capace di coinvolgere nel sentimento della sventura non
solo il destino di un individuo o di una famiglia, ma quello di
un'intera popolazione.
2) Nell'agosto del 1965 un ghiacciaio delle Alpi svizzere si rovesciò
sui cantieri allestiti per la costruzione della
diga di Mattmark, facendo strage di uomini.
*Il Dott. Salvatore INGLESE venne tenuto a lato della storia delle
tragedie dell'emigrazione e quando scoprì della sciagura di Mattmark
non era a conoscenza
di quella ancora più grave di Monongah.
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Salvatore INGLESE
L'inquieta alleanza fra psicopatologia e antropologia
(ricordi e riflessioni di un'esperienza sul campo)
tratto da I fogli di Oriss, n° 1, 1993
Marco BILOTTA, Giuseppe GALLO
Franco SPINA
PUBBLICAZIONE INTERNET
a cura di
Francesco Saverio ALESSIO
Gaetano MASCARO
Traduzioni
Gaetano MASCARO
Francese, Inglese, Fiammingo