L'inquieta alleanza fra psicopatologia e antropologia
Salvatore INGLESE
capitolo 7
Riscrivendo tale storia compendiavo inoltre l'immissione di sempre nuovi
dati e ricevevo ispirazione per nuove ipotesi.
La narrazione anamnestica si allungava attraverso trenta anni di storia
sociale, e attraverso tutti i paesi e i continenti conosciuti.
Nodi
Francesco BITONTI
In questa fase l'insieme delle domande superava abbondantemente la
possibilità delle risposte.
Si trattava di ridefinire la cultura autoctona non solo e non più nei
suoi aspetti autoreferenziali, ma sopra una vasta superficie di scambio
culturale virtualmente aperta.
L'architettura della cultura tradizionale non si delineava più nel suo
modello ideale - al limite, nello stereotipo folclorico - ma si era
deformata sottomettendosi agli esiti delle trasformazioni a cui era
stata sottoposta dai processi materiali di modernizzazione.
Ambedue le varianti culturali, il tipo mitico - ideale e quello storico
- reale chiedevano di essere ripensati in stretta interdipendenza,
secondo un doppio registro, sincronico e diacronico.
Questo è divenuto ancor più vero e necessario in relazione alla
successione delle generazioni e alla modificazione degli spazi
geografici e culturali esplorati dagli emigranti di questa regione.
Mi trovavo a cospetto di un ibrido
antropologico, una sorta di spaccato intermedio, a una forma bloccata
prematuramente in uno stadio incompiuto del proprio processo
evolutivo.
La configurazione presentava un nucleo
tradizionale, tramandato in forma immutata, ma era percorsa da una
serie di effetti centrifughi che si sprigionavano dalle esperienze
degli emigrati.
Tali esperienze non erano
addomesticabili o socializzabili facendo ricorso al solo metro della
cultura tradizionale.
Intanto l'emigrazione attraversava e
stigmatizzava il destino dei pazienti.
Gli effetti di ritorno
dell'emigrazione, non importava a quale latitudine essa fosse
realizzata, e per quanto tempo, contemplavano il rischio ipotetico, e
adesso il costo umano e sociale, conseguenti allo sfondamento
psicopatologico.
Il ritorno dell'emigrato non sembrava
essere solo in relazione all'alternanza dei cicli economici, o delle
fortune eventualmente accumulate, ma determinato soprattutto
dall'insorgenza di malattie somatiche o di disturbi mentali.
L'esperienza morbosa, pur manifestandosi come problema individuale,
non si lascia infatti delimitare entro tale dimensione idiosincrasica.
Essa si ripercuoteva puntualmente sulla famiglia allargata che, in
questo contesto sociale, costituiva la forma - famiglia
ideologicamente dominante anche se i suoi livelli funzionali, e la sua
tenuta strutturale, subivano una sovversiva trasformazione.
Moltiplicandosi i casi, si moltiplicavano le famiglie, e si allargava
la base sociale del dato psichiatrico, i suoi costi immediati, i suoi
effetti duraturi o permanenti.
Questa base diventava ad un certo punto così ampia da reclamare un
ulteriore livello in cui comprender l'intersezione tra casi e
famiglie.
I processi motivazionali, le catene di rinforzo psicopatogeno, le
barriere culturali, i meccanismi difensivi, incominciavano ad
accumulare una sorta di patrimonio comune neanche troppo dichiarato o
conosciuto.
Ad un certo punto la visione comprensiva del processo migratorio
sembrava presentare una sua propria coerenza e descrivibilità, oltre
che possedere delle regole di funzionamento e di riproduzione. Tale
visione si estendeva ai miti, alle aspettative, alle certezze, ai
rischi calcolati, alle frustrazioni, alle realizzazioni, alle
sconfitte.
Le stesse mete finali sembravano essere una sorta di patrimonio comune
denotato, ad esempio, dalla scarsa differenziazione della
capitalizzazione dei guadagni ottenuti all'estero, investiti
esclusivamente nell'edilizia con la motivazione di assicurare un tetto
ai figli.
Mi trovavo davanti ad un comportamento collettivo di conservazione che
si rifiutava di tener conto delle trasformazioni intanto intervenute
in ogni ordine e grado della vita sociale.
La
ricchezza relativa derivante da lavoro salariato prestato dagli
emigranti, si ostinava a pietrificarsi in abitazioni deserte ed
abusive che hanno provocato un grave squilibrio nella gestione
razionale del territorio. L'emigrazione non ha determinato un
nuovo sviluppo "in loco", per cui la rete delle strutture produttive,
o dei servizi, è rimasta atrofica o comunque rallentata. Ma la
pietrificazione del salario rivelava anche la necessità di
contrastare, rovesciandola nel suo contrario, l'angoscia della
scomparsa conseguente all'esodo obbligato. In questo territorio, più
l'emigrazione viene patita come sradicamento, o nomadismo coatto, più
si demarcano nuove fondazioni domestiche. Più
si è costretti al movimento, più si
scava nella roccia e si eleva una scheletrica identità stanziale.
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Salvatore INGLESE
L'inquieta
alleanza fra psicopatologia e antropologia
(ricordi e riflessioni di un'esperienza sul campo)
tratto da I
fogli di Oriss, n° 1, 1993
Presentazione
Marco BILOTTA, Giuseppe GALLO
Prefazione
Franco SPINA
PUBBLICAZIONE INTERNET
a cura di
Francesco Saverio ALESSIO
Gaetano MASCARO
Traduzioni
Gaetano MASCARO
Francese, Inglese, Fiammingo
Linux
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