Una volta lontano dal contesto ambientale fin qui descritto sono stato invaso da un'emozione conflittuale e senza nome.
Rivolgendo lo sguardo al passato ho intravisto il flusso incessante dei giorni e degli anni trascorsi in quei luoghi.
Flusso a volte pigro e senza scarti, spesso torrenziale e fragoroso.
La mia figura mi si ripresenta luminosa, lo sguardo ingenuo ma opaco.
Poi, i lampi del sapere illuminano le pieghe nere dell'esperienza.
Da tutto questo sento di ricavare un piacere mesto, forse insignificante.
Caustica è invece la consapevolezza che la conoscenza spesso si accompagna ad una condizione di impotenza poiché comprendere una realtà non contribuisce decisamente a trasformarla.
Più forte e ultimativo diventa il senso che quanto ho dato - con il mio lavoro e, adesso, con queste note - l'ho nuovamente reso a me stesso.
Forse il ricercatore deve accettare con semplicità, se non addirittura difendere, il verso positivo del proprio egoismo epistemico.
E incrociando ancora le dimensioni tormentate della Calabria mi impegno ad inaugurare - o a restaurare - idee, fantasie, pratiche che forse a nulla e a nessuno serviranno, ma che mi sottraggono al fascino immemore dell'agnosia e infrangono un silenzio intollerabile.
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