Le terribili tragedie collettive
sono ormai diventate grandi rappresentazioni pubbliche, che
vedono tra i loro attori i rappresentanti delle istituzioni,
ben allenati ormai nel recitare il ruolo di chi deve dare
voce ai sentimenti di cordoglio, dire che il dramma non si
ripeterà, promettere che «nulla sarà come prima». Il
pellegrinaggio a Lampedusa
era ovviamente doveroso, arriverà anche il presidente della
Commissione
europea Barroso, si è già fatta sentire la
voce del primo ministro francese perché sia anche l’Unione europea
a discutere la questione. Sembra così che sia stata
soddisfatta la richiesta del governo italiano di considerare
il tema in questa più larga dimensione, guardando alle coste
del nostro paese come alla frontiera sud dell’Unione.
Attenzione, però, a non operare una sorta di rimozione,
rimettendoci alle istituzioni europee e non considerando
primario l’obbligo di mettere ordine in casa nostra. Lunga,
e ben nota da tempo, è la lista delle questioni da
affrontare, a cominciare dalla condizione dei centri di
accoglienza dove troppo spesso ai migranti viene negato il
rispetto della dignità, anzi della loro stessa umanità. Ma
oggi possiamo ben dire che vi è una priorità assoluta, che
deve essere affrontata e che può esserlo senza che si
obietti, come accade per i centri di accoglienza, che
mancano le risorse necessarie. Questa priorità è la
cosiddetta legge
Bossi-Fini.
La Bossi-Fini è quasi un compendio di inciviltà
per le motivazioni profonde che l’hanno generata e per le
regole che ne hanno costituito la traduzione concreta. Per
questa legge l’emigrazione deve essere considerata come un
problema di ordine pubblico, con conseguente ricorso
massiccio alle norme penali e agli interventi di polizia.
All’origine vi è il rifiuto dell’altro, del diverso, del
lontano, che con il solo suo insediarsi nel nostro paese ne
mette in pericolo i fondamenti culturali e religiosi. Un
attentato perenne, dunque, da contrastare in ogni modo.
Inutile insistere sulla radice razzista di questo
atteggiamento e sul fatto che, considerando
pregiudizialmente il migrante irregolare come il
responsabile di un reato, viene così potentemente e
pericolosamente rafforzata la propensione al rifiuto. Non
dimentichiamo che a Milano si cercò di impedire l’iscrizione
alle scuole per l’infanzia dei figli dei migranti
irregolari, che si è cercato di escludere tutti questi
migranti dall’accesso alle cure mediche, pena la denuncia
penale.
In questi anni sono stati soltanto i pericolosi giudici, la
detestata Corte
costituzionale, a cercar di porre
parzialmente riparo a questa vergognosa situazione, a
reagire a questa perversa “cultura”. Già nel 2001 la Corte
costituzionale aveva scritto che vi sono garanzie
costituzionali che valgono per tutte le persone, cittadini
dello Stato o stranieri, “non in quanto partecipi
di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri
umani”, sì che “lo straniero presente, anche
irregolarmente, nello Stato ha il diritto di fruire di tutte
le prestazioni che risultino indifferibili e urgenti”. Un
orientamento, questo, ripetutamente confermato negli anni
seguenti, motivato riferendosi all’“insopprimibile tutela
della persona umana”.
Le persone che ci spingono alla commozione, allora, non
possono essere soltanto quelle chiuse in una schiera di bare
destinata ad allungarsi. Sono i sopravvissuti che, con “atto
dovuto” della magistratura, sono stati denunciati per il reato
di immigrazione clandestina. Di
essi non possiamo disinteressarci, rinviando tutto ad una
auspicata strategia comune europea. I rappresentanti delle
istituzioni, presenti a Lampedusa
o prodighi di dichiarazioni a distanza, non possono ignorare
questo problema, mille volte segnalato e mille volte eluso.
Così come non possono ignorare il fatto che lo stesso
soccorso “umanitario” ai migranti in pericolo di vita è
istituzionalmente ostacolato da una norma che, prevedendo il
reato di favoreggiamento all’immigrazione
clandestina, fa sì che il soccorritore
possa essere incriminato. A tutto questo si aggiunge la
pratica dei respingimenti in mare, anch’essa illegittima e
pericolosa per i migranti, sì che non deve sorprendere che
proprio in questi giorni il Consiglio d’Europa
abbia definito sbagliate e pregiudizievoli le politiche
italiane nella materia dell’immigrazione.
L’unica seria risposta istituzionale alla tragedia di Lampedusa è l’abrogazione della legge Bossi-Fini,
sostituendola con norme rispettose dei diritti delle
persone. Contro una misura così ragionevole e urgente si
leveranno certamente le obiezioni e i distinguo di chi
invoca la necessità di non turbare i fragili equilibri
politici, di fare i conti con le varie “sensibilità”
all’interno dell’attuale maggioranza. Miserie di una
politica che, in tal modo, rivelerebbe una volta di più la
sua incapacità di cogliere i grandi temi del nostro tempo.
Siano i cittadini attivi, spesso protagonisti vincenti di
un’“altra politica”, ad indicare imperiosamente quali siano
le vie che, in nome dell’umanità e dei diritti, devono
essere seguite.
Da La Repubblica del
08/10/2013
LEGGE
SULL’IMMIGRAZIONE