Abitavamo vicino alla stazione - Paolo Cinanni

Esce per Rubettino Editore, Soveria Mannelli, Abitavamo vicino alla stazione. Storia, idee e lotte di un meridionalista contemporaneo, pp. 306, antologia di scritti di Paolo Cinanni.


Minatori Italiani in West Virginia agli inizi del Novecento - questa foto fu scattata il 5 dicembre 1907 a Monongah, West Virginia

Minatori Italiani a Monongah in West Virginia agli inizi del Novecento


Paolo Cinanni, una vita nel Pci

di Domenico Barberio

Articolo pubblicato da "Lo Straniero", ottobre 2006 n° 76 e in viatoci dall'Autore.

È uscita per Rubettino Editore, Soveria Mannelli, Abitavamo vicino alla stazione. Storia, idee e lotte di un meridionalista contemporaneo, un’antologia di scritti che ci restituisce, dopo un ingiustificato periodo d’oblio, Paolo Cinanni politico e uomo di cultura calabrese nato a Gerace il 25 gennaio 1916 e morto a Roma il 18 aprile del 1988.

Studioso di alcuni fra i fenomeni più caratterizzanti la storia dell’Italia moderna e contemporanea, ha accompagnato ad una ricca profondità d’analisi la tenacia del militante dalla risoluta praticità. L’emigrazione, le lotte contadine nel secondo dopo guerra, l’usurpazione del demanio pubblico, la terra come bene collettivo e fonte di progresso, il lavoro e il suo tempo d’impiego sono stati i temi al centro della sua osservazione, il campo della sua azione politica.

Un’orgogliosa fedeltà lo ha legato al Pci impedendogli di riconoscerne molte ambiguità, convinto della superiorità e necessarietà dell’organizzazione rispetto ai limiti e ai difetti degli uomini chiamati a rappresentarla. Un attaccamento che gli ha permesso lo stesso di condannare quei limiti e difetti quando troppo evidenti e poco tollerabili, che non gli ha risparmiato l’esilio dagli organi centrali del partito dalla fine degli anni sessanta.

L’antologia curata da Giovanni Cinanni, figlio di Paolo, e Salvatore Oliverio si divide in quattro parti: mentre la prima è autobiografica e ci offre il giovane Cinanni nel difficile passaggio dalla Calabria a Torino e nel rapporto con il “maestro e l’anti-maestro” Cesare Pavese, le restanti tre sono una sintesi ricca ed efficace delle sue idee e proposte. Utili per avvicinare il lettore alla sua figura, perchè è bene ricordarlo Cinanni è quasi sconosciuto, gli interventi iniziali di Amelia Paparazzo, Giovanni Baratta e Peter Kammerer, Francesco Tassone, Francesco Faeta.
D’umile origine a tredici anni con la famiglia lascia Gerace, per emigrare a Torino dove troverà dolore lutti paure e speranze. Farà prima il “portatore d’acqua” in una vetreria, e poi il fattorino in un negozio di scarpe per trenta lire settimanali. La sera del 24 giugno del 1930, giorno in cui riceve la risposta positiva alla domanda che intanto aveva fatto per entrare in Marina, subisce un terribile incidente : viene investito da un tram che gli maciulla la gamba sinistra, per salvarlo i medici devono ad amputarla. Nel ’32 si ammala di pleurite e resta in sanatorio venticinque mesi, nel frattempo le due sorelle più grandi Concetta e Caterina, già sposate ed entrambi con un bambino, muoiono di tubercolosi.

Il cambiamento arriva nel 1935. Cesare Pavese rientrato da poco a Torino dal confino in Calabria diventa maestro del giovane Paolo, che vuole caparbiamente continuare a studiare e conseguire la maturità classica. Nasce subito una solida e rispettosa amicizia, che si concluderà solo con la morte tragica dello scrittore. “Un sabato pomeriggio che ero passato da lui per portargli la mia retta di cinquanta lire, egli si mise i soldi nel portafoglio e mi propose di fare due passi assieme…mi fece cenno di seguirlo ed entrammo assieme nella libreria Petrini. Chiese i due volumi delle Novelle per un anno di Pirandello, pagò ottanta lire e mi consegnò il pacco: “D’ora in poi – disse – alla fine del mese verrai qui e ti prenderai cinquanta lire di libri; ti serviranno per prepararti meglio”, così ricorda Cinanni uno degli incontri più significativi tra i due ne Il passato presente (una vita nel PCI), Grisolia editore (Marina di Belvedere, Cosenza) l’autobiografia politica pubblicata nel 1986, che ci accompagnerà più volte in questo testo.

Nel ’36 grazie ai contatti che gli procura Pavese comincia a gravitare nelle organizzazioni antifasciste clandestine, farà parte del cosiddetto “soccorso rosso”, nel ’40 entra ufficialmente nel Pci.
Nel ’43 dopo l’8 settembre anche per Cinanni è l’ora della resistenza, sarà “Andrea” commissario politico nelle bande partigiane della provincia di Cuneo, ingrossate dai soldati della 4ù armata italiana di ritorno dalla Francia. Ludovico Geymonat, Leone Ginzburg, Luigi Capriolo, Elvira Pajetta, Giovanni Barale sono i compagni più vicini nella clandestinità. I centri direttivi del partito lo sposteranno a Milano dove entrerà a far parte degli organi direttivi del Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e la libertà, l’organizzazione giovanile unitaria delle forze antifasciste, e dei Giovani Comunisti al fianco tra gli altri di Eugenio Curiel, “Giorgio”, e Gillo Pontecorvo, “Barnaba”. Il 25 aprile dopo aver occupato assieme ad un gruppo di giovani partigiani del Fronte la redazione della Gazzetta dello Sport sarà tra i curatori del primo giornale legale nella Milano liberata, pubblicato e distribuito in quella stessa giornata quando ancora per le strade si spara.

Quale dirigente del Pci nell’immediato dopoguerra si occupa dell’organizzazione delle masse contadine, prima calabresi e poi piemontesi, nelle grandi stagioni delle lotte per la terra. Dal ’46 al ’53 in Calabria sull’altopiano silano, con una devozione particolare per San Giovanni in Fiore, dove incontrerà la donna della sua vita. Anni di speranza, di grande rinnovamento nella vita di tanti braccianti, piccoli contadini, piccoli artigiani. Cinanni crea con queste persone legami attenti, coinvolgenti mai banali. E’ solito invitarli a casa per insegnare a leggere e a scrivere; discutere delle grandi questioni internazionali o delle piccole vicende locali; comprendere il ruolo che essi andavano assumendo nelle nuove e avvincenti fasi di fresca democrazia che si aprivano. Non era però un rapporto fra impari, tra il dirigente “ca tena le scole” venuto da lontano e chi aveva ottenuto magari la terza elementare. Cinanni nutre rispetto per quegli umiliati e offesi, a quel mondo lui apparteneva e un po’ come un fratello maggiore s’incaricava di perlustrare le cantine di San Giovanni in Fiore nelle gelide serate invernali per ripescare “quei tanti compagni che si lasciavano andare” in gioiose serate alcoliche. Per loro, prima del ritorno a casa, il passaggio coatto nella sezione del Pci per ascoltare i suoi inevitabili rimproveri.
--Quelli tra i quaranta e i cinquanta sono gli anni della sperimentazione e dell’attuazione degli “scioperi a rovescio”, nuovo strumento di lotta politica di cui si dota il movimento democratico italiano uscito dalla dittatura fascista e dalla guerra. Il territorio era sprovvisto delle strutture minime e necessarie, la difficile situazione post bellica seminava disoccupazione e sconforto e se le autorità costituite non davano risposte toccava alla popolazione invertire la rotta, darsi da fare: il lavoro si poteva creare costruendo ciò che mancava. L’attuazione di un diritto, il diritto al lavoro, attraverso la realizzazione di un dovere, il dovere all’impegno sociale.

All’interno della più complessiva mobilitazione contadina, la conquista della terra assume un ruolo fondamentale. Si tratta di una chiara rivendicazione d’ordine sociale, di una determinante battaglia politica così come la intendono i partiti comunista e socialista che si pongono alla guida di quei movimenti. Ma non solo. C’è qualcosa di più che va oltre. La conquista della terra è un sogno collettivo mai avverato e mai sopito, significa rimarginare la ferita aperta da tempo immemore, riparare allo scippo subito da tante generazioni, significa in definitiva chiudere i conti con un certo passato.

Quei conti non si chiuderanno, la Legge Stralcio, la Legge Sila varate dall’esecutivo degasperiano all’indomani della strage di Melissa del ’49 saranno lo strumento che, attraverso gli Enti di Riforma, permetterà alla DC di incunearsi nei territori dove più alta è la tensione e il malcontento, dove più forti sono i partiti dell’ex Fronte Popolare. Dal canto loro incapaci a reagire alla svolta governativa, a trovare soluzioni immediate, cadono anzi spesso nelle larghe maglie dell’affarismo clientelare che gli Enti cominciano con spregiudicatezza a praticare.

Moralmente giuste, storicamente inevitabili, giuridicamente lecite ( fatte con la “Costituzione in mano” diceva Cinanni) di ciò si sostanziavano le lotte per la terra. Quanto a coloro che vi presero parte sottolinea Cinanni : “Non era stato certo l’adesione cosciente ad un’ideologia particolare, ma la consapevolezza che su quei campi le comunità contadine avevano diritti molto antichi”. Tali antichi diritti sono quei particolari diritti reali, imprescrittibili, inalienabili e perpetui che spettano a date collettività sui beni del Comune, quali il legnatico (diritto di raccogliere legna), l’erbatico (raccogliere erba), il fungatico (raccogliere i funghi) e così via, detti anche usi civici, riconosciuti in primis alle popolazioni contadine. “La nostra più grande ambizione- scrive- era quella di fare dei contadini i veri protagonisti del loro riscatto : con le continue lotte essi avrebbero acquistato man mano non tanto la coscienza dei loro diritti, che era in loro fortemente radicata, quanto quella della forza collettiva e della loro funzione di produttori e cittadini”. Declinare quindi nel presente i diritti usurpati nel passato, riattivandoli grazie alle nuove possibilità consentite dai poteri democratici. I due piccoli volumi La funzione del Comune Rurale per il progresso dell’agricoltura e Le terre degli enti, gli usi civici e la programmazione economica pubblicati entrambi nel 1962 indicano nei Comuni e nelle Regioni i soggetti istituzionali chiamati a far da traino al nuovo ed indispensabile protagonismo delle regioni meridionali.

Cinanni è convinto che non si può liquidare la questione meridionale, considerarla ormai superata dai tempi e dagli eventi che registravano intanto flussi frenetici d’emigrazione verso le grandi capitali del nord Italia o del nord Europa. Troppe contraddizioni restavano irrisolte, ancora e meglio bisognava operare. Per la dirighenzia romana del Pci esisteva solo una prospettiva nazionale, non c’era spazio per una presunta specificità meridionale come invece Cinanni con convinzione sosteneva in qualità di segretario dell’Acmi (l’Associazione dei contadini del mezzogiorno d’Italia), incarico assegnatogli dopo la parentesi piemontese dal ’53 al ’56. Cinanni grazie proprio a queste esperienze di lotte in Piemonte si rende conto che i problemi sono diversi nelle due aree del paese, perchè diversa è la struttura produttiva agraria. Nel sud permangono le battaglie per l’abolizione dei patti agrari, ancora presenti, moderna codificazione dei diritti feudali, solo ufficialmente aboliti dalle leggi eversive della feudalità del 1806, mentre nel nord i problemi del tessuto imprenditoriale agricolo cominciano ad avere caratteristiche di tipo capitalistico. Cinanni rimane segretario dell’organizzazione (creata nel dicembre 1951 da Ruggero Greco) dal ’56 al ’62, anno della fine dell’Associazione stessa: allorchè Emilio Sereni, presidente dell’Alleanza dei Contadini (l’organizzazione federativa che unifica le strutture dell’Acmi e dell’Associazione Coltivatori Diretti presente nel nord) convince i dirigenti del movimento che non c’è più motivo di mantenere due organizzazioni distinte.

Il rapporto difficile tra Cinanni e il partito trova conferma nell’ennesima delusione. Nel ’65, dopo la nuova esperienza in Calabria cominciata tre anni prima, Giancarlo Pajetta lo chiama a Roma per lavorare a “Rinascita”, di cui è direttore, incaricandolo di un compito certo non tra i più gratificanti: la promozione e la diffusione della rivista. “Ritenevo – scrive con dispiacere Cinanni – forse un po’ ingenuamente, che il partito avesse interesse ad introdurre nel collettivo di intellettuali di Rinascita un compagno di origine proletaria e meridionale, che aveva accumulato una certa esperienza in grandi lotte di massa”.

Dal gennaio ’64 entra a far parte dell’Ufficio Emigrazione del Pci. Per Cinanni è inevitabile affrontare l’esodo, come lui definisce l’emigrazione: suo nonno, suo padre, i suoi zii, lui, la madre, le sorelle, il fratello erano stati costretti ad abbandonare Gerace. Sarà un approfondimento scientifico delle condizioni economiche, materiali, morali, dei tanti emigrati italiani spersi nel mondo “un’umanità sofferente che ci attraeva per la sua universalità di dolore e fatica, di isolamento e di nostalgia”; gli emigrati che non rientravano nel clichè, allora come oggi assai di moda, dell’italiano di successo capace di diventare ricco e famoso all’estero.

Fonda nel 1967 con Carlo Levi la FILEF ( Federazione Italiana Lavoratori Emigrati e Famiglie), Levi è presidente Cinanni il suo vice. Un’attività che li unirà per le comuni passioni, impegni, speranze. ”Con la costruzione della Filef il Pci mi aveva distaccato a quel lavoro, e quanto mi era venuto a mancare, allontanandomi dopo decenni dal rapporto quotidiano con i compagni e col lavoro di partito, lo ritrovai in seguito proprio nell’attività della Federazione e nella vivificante amicizia con Carlo Levi”.

Emigrazione e imperialismo del 1967 per Editori Riuniti è il primo lavoro organico che Cinanni dedica all’argomento. Nel ’68 esce definitivamente dal Comitato Centrale del Pci, un progressivo e, all’inizio, doloroso allontanamento che non inficia l’impegno intellettuale nelle questioni che più gli stavano a cuore. Una serrata attività teorica, mai disgiunta dal bisogno di avere le “mani in pasta” nella realtà, fanno di Cinanni in quegli anni indispensabile punto di riferimento umano e intellettuale per chi si accosta, s’interessa, studia il mondo contadino meridionale, l’emigrazione. Nel ’72

Emigrazione e imperialismo è tradotto in tedesco; nel ’73 inizia la collaborazione con l’Istituto di Filosofia dell’Università di Urbino, che ricerca per il proprio progetto didattico gli apporti anche di singole personalità non legate al mondo accademico; Nel ’74 Feltrinelli pubblica con la lucida e penetrante prefazione di Levi, Emigrazione e unità operaia. Un problema rivoluzionario (anche questo poi tradotto in tedesco), mentre tiene corsi e seminari a Tubinga, Saarbrucken e Dusseldorf. Passati trent’anni decide di riordinare le esperienze, sue e del Pci, maturate in Calabria in due lavori di analisi storica: Lotte per la terra e comunisti in Calabria 1943-1953 del 1977 sempre per Feltrinelli, e Lotte contadine nel Mezzogiorno, del 1979 per Marsilio. Negli anni ottanta l’Università di Berlino gli darà incarico per la compilazione di alcune voci del volume supplementare della Enciclopedia del marxismo.

Nonostante l’infarto che lo ha colpito il 5 novembre 80’ e i conseguenti problemi di salute, Cinanni continua nel suo lavoro dirigendo il mensile L’antifascista, impegnandosi fino alla sua morte nella ricerca e nell’attuazione pratica della sua proposta.

Oggi i problemi a cui si è più appassionato restano drammaticamente urgenti, irrisolti, attuali, assumendo nuove forme, aprendo nuove contraddizioni. L’emigrazione e la questione della terra sono diventati fenomeni planetari trascendendo i singoli stati.

Il mezzogiorno italiano non riesce a trovare una sua identità, una sua concretezza, restando fermo senza bussola in balia delle onde. La sinistra italiana, nelle sue componenti politiche e intellettuali, di fronte a tutto ciò è assente così com’era assente nell’aprile dell’88 a San Giovanni in Fiore il giorno dei suoi funerali.

Domenico Barberio

 


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