È
uscita per Rubettino Editore, Soveria Mannelli,
Abitavamo vicino alla stazione. Storia, idee e
lotte di un meridionalista contemporaneo,
un’antologia di scritti che ci restituisce, dopo un
ingiustificato periodo d’oblio, Paolo
Cinanni politico e uomo di cultura
calabrese nato a Gerace il 25 gennaio 1916 e morto a
Roma il 18 aprile del 1988.
Studioso
di alcuni fra i fenomeni più caratterizzanti la
storia dell’Italia moderna e contemporanea, ha
accompagnato ad una ricca profondità d’analisi la
tenacia del militante dalla risoluta praticità. L’emigrazione,
le lotte contadine nel secondo dopo guerra,
l’usurpazione del demanio pubblico, la terra come
bene collettivo e fonte di progresso, il lavoro e il
suo tempo d’impiego sono stati i temi al centro
della sua osservazione, il campo della sua azione
politica.
Un’orgogliosa
fedeltà lo ha legato al Pci impedendogli di
riconoscerne molte ambiguità, convinto della
superiorità e necessarietà dell’organizzazione
rispetto ai limiti e ai difetti degli uomini
chiamati a rappresentarla. Un attaccamento che gli
ha permesso lo stesso di condannare quei limiti e
difetti quando troppo evidenti e poco tollerabili,
che non gli ha risparmiato l’esilio dagli organi
centrali del partito dalla fine degli anni sessanta.
L’antologia
curata da Giovanni Cinanni, figlio
di Paolo, e Salvatore
Oliverio si divide in quattro
parti: mentre la prima è autobiografica e ci offre
il giovane Cinanni nel difficile passaggio dalla Calabria
a Torino e nel rapporto con il “maestro e
l’anti-maestro” Cesare Pavese, le
restanti tre sono una sintesi ricca ed efficace
delle sue idee e proposte. Utili per avvicinare il
lettore alla sua figura, perchè è bene ricordarlo
Cinanni è quasi sconosciuto, gli interventi iniziali
di Amelia Paparazzo, Giovanni Baratta e Peter
Kammerer, Francesco Tassone, Francesco Faeta.
D’umile
origine a tredici anni con la famiglia lascia Gerace,
per emigrare a Torino
dove troverà dolore lutti paure e speranze. Farà
prima il “portatore d’acqua” in una vetreria, e poi
il fattorino in un negozio di scarpe per trenta lire
settimanali. La sera del 24 giugno del 1930, giorno
in cui riceve la risposta positiva alla domanda che
intanto aveva fatto per entrare in Marina, subisce
un terribile incidente : viene investito da un tram
che gli maciulla la gamba sinistra, per salvarlo i
medici devono ad amputarla. Nel ’32 si ammala di
pleurite e resta in sanatorio venticinque mesi, nel
frattempo le due sorelle più grandi Concetta e
Caterina, già sposate ed entrambi con un bambino,
muoiono di tubercolosi.
Il
cambiamento arriva nel 1935. Cesare Pavese
rientrato da poco a Torino
dal confino in Calabria
diventa maestro del giovane Paolo, che vuole
caparbiamente continuare a studiare e conseguire la
maturità classica. Nasce subito una solida e
rispettosa amicizia, che si concluderà solo con la
morte tragica dello scrittore. “Un sabato pomeriggio
che ero passato da lui per portargli la mia retta di
cinquanta lire, egli si mise i soldi nel portafoglio
e mi propose di fare due passi assieme…mi fece cenno
di seguirlo ed entrammo assieme nella libreria
Petrini. Chiese i due volumi delle Novelle per un
anno di Pirandello, pagò ottanta
lire e mi consegnò il pacco: “D’ora in
poi – disse – alla fine del mese verrai qui e ti
prenderai cinquanta lire di libri; ti serviranno
per prepararti meglio”, così
ricorda Cinanni uno degli incontri più significativi
tra i due ne Il passato presente (una
vita nel PCI), Grisolia editore
(Marina di Belvedere, Cosenza) l’autobiografia
politica pubblicata nel 1986, che ci accompagnerà
più volte in questo testo.
Nel
’36 grazie ai contatti che gli procura Pavese
comincia a gravitare nelle organizzazioni
antifasciste clandestine, farà parte del cosiddetto
“soccorso rosso”, nel ’40
entra ufficialmente nel Pci.
Nel ’43 dopo l’8 settembre anche per Cinanni è l’ora
della resistenza, sarà “Andrea” commissario politico
nelle bande partigiane della provincia di Cuneo,
ingrossate dai soldati della 4ù armata italiana di
ritorno dalla Francia. Ludovico Geymonat,
Leone Ginzburg, Luigi Capriolo, Elvira Pajetta,
Giovanni Barale sono i compagni più vicini nella
clandestinità. I centri direttivi del partito lo
sposteranno a Milano dove entrerà a far parte degli
organi direttivi del Fronte della Gioventù per
l’indipendenza nazionale e la libertà,
l’organizzazione giovanile unitaria delle forze
antifasciste, e dei Giovani Comunisti al fianco tra
gli altri di Eugenio Curiel, “Giorgio”, e Gillo
Pontecorvo, “Barnaba”. Il 25 aprile dopo aver
occupato assieme ad un gruppo di giovani partigiani
del Fronte la redazione della Gazzetta dello Sport
sarà tra i curatori del primo giornale legale nella
Milano liberata, pubblicato e distribuito in quella
stessa giornata quando ancora per le strade si
spara.
Quale
dirigente del Pci nell’immediato dopoguerra si
occupa dell’organizzazione delle masse contadine,
prima calabresi e poi piemontesi, nelle grandi
stagioni delle lotte per la terra. Dal ’46 al ’53 in
Calabria
sull’altopiano
silano, con
una devozione particolare per San
Giovanni in Fiore, dove incontrerà
la donna della sua vita. Anni di speranza, di grande
rinnovamento nella vita di tanti braccianti, piccoli
contadini, piccoli artigiani. Cinanni crea con
queste persone legami attenti, coinvolgenti mai
banali. E’ solito invitarli a casa per insegnare a
leggere e a scrivere; discutere delle grandi
questioni internazionali o delle piccole vicende
locali; comprendere il ruolo che essi andavano
assumendo nelle nuove e avvincenti fasi di fresca
democrazia che si aprivano. Non era però un rapporto
fra impari, tra il dirigente “ca tena
le scole” venuto da lontano e chi
aveva ottenuto magari la terza elementare. Cinanni
nutre rispetto per quegli umiliati e offesi, a quel
mondo lui apparteneva e un po’ come un fratello
maggiore s’incaricava di perlustrare le cantine di San
Giovanni in Fiore nelle gelide
serate invernali per ripescare “quei
tanti compagni che si lasciavano andare”
in gioiose serate alcoliche. Per loro, prima del
ritorno a casa, il passaggio coatto nella sezione
del Pci per ascoltare i suoi inevitabili rimproveri.
--Quelli
tra i quaranta e i cinquanta sono gli anni della
sperimentazione e dell’attuazione degli “scioperi
a rovescio”, nuovo strumento di
lotta politica di cui si dota il movimento
democratico italiano uscito dalla dittatura fascista
e dalla guerra. Il territorio era sprovvisto delle
strutture minime e necessarie, la difficile
situazione post bellica seminava disoccupazione e
sconforto e se le autorità costituite non davano
risposte toccava alla popolazione invertire la
rotta, darsi da fare: il lavoro si poteva creare
costruendo ciò che mancava. L’attuazione di
un diritto, il diritto al lavoro, attraverso la
realizzazione di un dovere, il dovere all’impegno
sociale.
All’interno
della più complessiva mobilitazione contadina, la
conquista della terra assume un ruolo fondamentale.
Si tratta di una chiara rivendicazione d’ordine
sociale, di una determinante battaglia politica così
come la intendono i partiti comunista e socialista
che si pongono alla guida di quei movimenti. Ma non
solo. C’è qualcosa di più che va oltre. La
conquista della terra è un sogno collettivo mai
avverato e mai sopito, significa
rimarginare la ferita aperta da tempo immemore,
riparare allo scippo subito da tante generazioni,
significa in definitiva chiudere i conti con un
certo passato.
Quei
conti non si chiuderanno, la Legge Stralcio, la
Legge Sila varate dall’esecutivo degasperiano
all’indomani della strage di Melissa del ’49
saranno lo strumento che, attraverso gli Enti di
Riforma, permetterà alla DC di incunearsi nei
territori dove più alta è la tensione e il
malcontento, dove più forti sono i partiti dell’ex
Fronte Popolare. Dal canto loro incapaci a reagire
alla svolta governativa, a trovare soluzioni
immediate, cadono anzi spesso nelle larghe maglie
dell’affarismo clientelare che
gli Enti cominciano con spregiudicatezza a
praticare.
Moralmente
giuste, storicamente inevitabili, giuridicamente
lecite ( fatte con la “Costituzione in mano” diceva
Cinanni) di ciò si sostanziavano le lotte per la
terra. Quanto a coloro che vi presero parte
sottolinea Cinanni : “Non era stato
certo l’adesione cosciente ad un’ideologia
particolare, ma la consapevolezza che su quei
campi le comunità contadine avevano diritti
molto antichi”. Tali antichi
diritti sono quei particolari diritti reali,
imprescrittibili, inalienabili e perpetui che
spettano a date collettività sui beni del Comune,
quali il legnatico (diritto di raccogliere legna),
l’erbatico (raccogliere erba), il fungatico
(raccogliere i funghi) e così via, detti anche usi
civici, riconosciuti in primis alle popolazioni
contadine. “La nostra più grande
ambizione- scrive- era quella di fare dei
contadini i veri protagonisti del loro riscatto
: con le continue lotte essi avrebbero
acquistato man mano non tanto la coscienza dei
loro diritti, che era in loro fortemente
radicata, quanto quella della forza collettiva e
della loro funzione di produttori e cittadini”.
Declinare quindi nel presente i diritti usurpati nel
passato, riattivandoli grazie alle nuove possibilità
consentite dai poteri democratici. I due piccoli
volumi La funzione del Comune Rurale per il
progresso dell’agricoltura e Le terre degli enti,
gli usi civici e la programmazione economica
pubblicati entrambi nel 1962 indicano nei Comuni e
nelle Regioni i soggetti istituzionali chiamati a
far da traino al nuovo ed indispensabile
protagonismo delle regioni meridionali.
Cinanni
è convinto che non si può liquidare la “questione
meridionale”, considerarla
ormai superata dai tempi e dagli eventi che
registravano intanto flussi frenetici d’emigrazione
verso le grandi capitali del nord Italia o del nord
Europa. Troppe contraddizioni restavano irrisolte,
ancora e meglio bisognava operare. Per la
dirighenzia romana del Pci esisteva solo una
prospettiva nazionale, non c’era spazio per una
presunta specificità meridionale come invece Cinanni
con convinzione sosteneva in qualità di segretario
dell’Acmi (l’Associazione
dei contadini del mezzogiorno d’Italia),
incarico assegnatogli dopo la parentesi piemontese
dal ’53 al ’56. Cinanni grazie proprio a
queste esperienze di lotte in Piemonte si rende
conto che i problemi sono diversi nelle due aree
del paese, perchè diversa è la struttura
produttiva agraria. Nel sud permangono
le battaglie per l’abolizione dei patti agrari,
ancora presenti, moderna codificazione dei diritti
feudali, solo ufficialmente aboliti dalle leggi
eversive della feudalità del 1806, mentre nel nord i
problemi del tessuto imprenditoriale agricolo
cominciano ad avere caratteristiche di tipo
capitalistico. Cinanni rimane segretario
dell’organizzazione (creata nel dicembre 1951 da
Ruggero Greco) dal ’56 al ’62, anno della fine
dell’Associazione stessa: allorchè Emilio Sereni,
presidente dell’Alleanza dei Contadini
(l’organizzazione federativa che unifica le
strutture dell’Acmi e dell’Associazione
Coltivatori Diretti presente nel nord)
convince i dirigenti del movimento che non c’è più
motivo di mantenere due organizzazioni distinte.
Il
rapporto difficile tra Cinanni e il partito
trova conferma nell’ennesima delusione. Nel ’65,
dopo la nuova esperienza in Calabria
cominciata tre anni prima, Giancarlo
Pajetta lo chiama a Roma per lavorare a “Rinascita”,
di cui è direttore, incaricandolo di un compito
certo non tra i più gratificanti: la promozione e la
diffusione della rivista. “Ritenevo –
scrive con dispiacere Cinanni – forse un po’
ingenuamente, che il partito avesse interesse ad
introdurre nel collettivo di intellettuali di
Rinascita un compagno di origine proletaria e
meridionale, che aveva accumulato una certa
esperienza in grandi lotte di massa”.
Dal
gennaio ’64 entra a far parte dell’Ufficio
Emigrazione del Pci. Per Cinanni è
inevitabile affrontare l’“esodo”,
come lui definisce l’emigrazione:
suo nonno, suo padre, i suoi zii, lui, la madre, le
sorelle, il fratello erano stati costretti ad
abbandonare Gerace. Sarà un approfondimento
scientifico delle condizioni economiche, materiali,
morali, dei tanti emigrati italiani spersi nel mondo
“un’umanità
sofferente che ci attraeva per la sua
universalità di dolore e fatica, di isolamento
e di nostalgia”; gli
emigrati che non rientravano nel clichè, allora come
oggi assai di moda, dell’italiano di successo capace
di diventare ricco e famoso all’estero.
Fonda
nel 1967 con Carlo Levi la FILEF ( Federazione Italiana Lavoratori
Emigrati e Famiglie), Levi è
presidente Cinanni il suo vice. Un’attività che li
unirà per le comuni passioni, impegni, speranze.
”Con la costruzione della Filef il Pci mi aveva
distaccato a quel lavoro, e quanto mi era venuto a
mancare, allontanandomi dopo decenni dal rapporto
quotidiano con i compagni e col lavoro di partito,
lo ritrovai in seguito proprio nell’attività della
Federazione e nella vivificante amicizia con Carlo
Levi”.
Emigrazione
e imperialismo del 1967 per
Editori Riuniti è il primo lavoro organico che
Cinanni dedica all’argomento. Nel ’68 esce
definitivamente dal Comitato Centrale del Pci, un
progressivo e, all’inizio, doloroso allontanamento
che non inficia l’impegno intellettuale nelle
questioni che più gli stavano a cuore. Una serrata
attività teorica, mai disgiunta dal bisogno di avere
le “mani in pasta” nella
realtà, fanno di Cinanni in quegli anni
indispensabile punto di riferimento umano e
intellettuale per chi si accosta, s’interessa,
studia il mondo contadino meridionale, l’emigrazione.
Nel ’72
Emigrazione
e imperialismo è tradotto in
tedesco; nel ’73 inizia la collaborazione con l’Istituto
di Filosofia dell’Università di Urbino,
che ricerca per il proprio progetto didattico gli
apporti anche di singole personalità non legate al
mondo accademico; Nel ’74 Feltrinelli pubblica con
la lucida e penetrante prefazione di Levi, Emigrazione
e unità operaia. Un problema
rivoluzionario (anche questo poi tradotto in
tedesco), mentre tiene corsi e seminari a Tubinga,
Saarbrucken e Dusseldorf.
Passati trent’anni decide di riordinare le
esperienze, sue e del Pci, maturate in Calabria
in due lavori di analisi storica: Lotte
per la terra e comunisti in Calabria 1943-1953
del 1977 sempre per Feltrinelli, e Lotte
contadine nel Mezzogiorno, del
1979 per Marsilio. Negli anni ottanta l’Università
di Berlino gli darà incarico per la
compilazione di alcune voci del volume supplementare
della Enciclopedia del marxismo.
Nonostante
l’infarto che lo ha colpito il 5 novembre 80’ e i
conseguenti problemi di salute, Cinanni continua nel
suo lavoro dirigendo il mensile L’antifascista,
impegnandosi fino alla sua morte nella ricerca e
nell’attuazione pratica della sua proposta.
Oggi
i problemi a cui si è più appassionato restano drammaticamente
urgenti, irrisolti, attuali,
assumendo nuove forme, aprendo nuove contraddizioni.
L’emigrazione
e la questione della terra sono diventati fenomeni
planetari trascendendo i singoli stati.
Il mezzogiorno
italiano non riesce a trovare una sua identità,
una sua concretezza, restando fermo senza bussola in
balia delle onde. La sinistra italiana, nelle sue
componenti politiche e intellettuali, di fronte a
tutto ciò è assente così com’era assente nell’aprile
dell’88 a San Giovanni in Fiore
il giorno dei suoi funerali.
Domenico Barberio
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