LA VOCE DI FIORE -
sabato 15 gennaio 2005
Cerchiamo una buona occasione
per riflettere sulla nostra comunità
di San Giovanni in Fiore, calabrese e
meridionale, più in generale, emigrata
in massa nei secoli.
Siamo presenti in tutta l’Europa.
Ancora, siamo in America,
Oceania, Africa, Asia. L’emigrazione
ci ha dispersi.
San Giovanni in Fiore:
comignolo
Fotografia: Mario IAQUINTA,
© copyright 1981
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Ciononostante,
anche a distanza di generazioni, il
legame con la terra e gli affetti
domestici sono rimasti integri e forti.
La lingua parlata dai figli dei figli dei
compari, un dialetto
alquanto classico, piuttosto duro e
marcato, testimonia, anzitutto, la
profondità di un rapporto teso e
controverso, ma sincero.
La
gente è partita col dolore e la
speranza. Il fenomeno
continua, ma si osserva come se fosse
passato, come se il nuovo assetto
economico-sociale avesse cancellato il
vecchio bisogno di cercare fortuna fuori
di casa. Le cose non stanno in questi
termini.
Fulvio Cauteruccio
(l’emigrato Roccu u stortu) – regista e
attore – è a Scandicci, forse.
Incanta e carica il pubblico e gli
allievi. Trasmette la sua energia viva con
l’inquieta rabbia calabrese.
Nando De Paola,
che ha fatto le valigie molto prima,
ritorna spesso a San Giovanni in Fiore. In
giro per l’Italia, dimora, come altri, a Milano.
Se guarda il cielo sbiadito meneghino,
ricorda l’Austria romantica. L’operosa
vitalità quotidiana e i rumori ferrosi dei
tranvai sempre belli richiamano – presto –
i racconti dell’immagine industriale,
dello sviluppo urbano a macchia d’olio. La
città gli mostra il fascino del secolo
scorso, delle trasformazioni radicali ma
percepibili, del progresso tecnologico e
sindacale, degli anni d’impegno difficile
e prolungato. Le luci al neon, sostituite
dai moderni sistemi del sistema, fanno
moda come insegne di alcuni locali trend.
Ma, parte del cuore di Nando è a San
Giovanni.
A Milano,
c’è pure Gino Morrone,
persona schiva ma elegante. Salì sul treno
con Salvatore Scarpino e
Franco Abruzzo.
Oggi i tre giornalisti calabresi
insegnano, dirigono, rilasciano pareri. Se
li interroghi sulla Calabria,
preferiscono tacere. Se li stuzzichi,
cominciano l’adulta serie di sproloqui
commossi e rimpianti mai sopiti. Ricordano
amici, albe, tramonti, fanciulle e figure
immobili che muovono, perenni, i fili
della cosa pubblica, quasi per una
condanna divina, prossima al destino dei
Titani.
In Argentina,
Agostino Iaquinta sognava
di rincasare, per aprire un laboratorio di
ricerca. Il Made in Italy degli anni
Settanta lo aveva entusiasmato. La sua
visita in Calabria fu, invece, breve e
dolorosa. Non riusciva a capire perché, a
San Giovanni in Fiore, l’ingegno italiano
non era mai arrivato. Ritornò a Buenos Aires,
soltanto deluso. Qui, suo fratello
Gabriele è felice quando invita i paesani
a gustare i fritti e i turdilli di Natale;
quando, in un afoso pomeriggio d’estate,
premia la comare più brava nell’arte della
scilubbetta.
A Baden, Wettingen
e in tutta la Svizzera,
i sangiovannesi si riuniscono, ogni fine
settimana, per mangiare insieme, parlare,
giocare a carte e sentirsi chiamare in
dialetto. Dall’ordine elvetico,
l’infaticabile e battagliero Giuseppe
Bitonti, tenta disperatamente
di raccogliere delle adesioni per il
Comitato provvisorio degli emigrati
sangiovannesi in Svizzera, con un
«progetto comune, registrato e garantito»,
per una nuova San Giovanni in Fiore.
Sofferenze del passato,
esperienze dei tempi bui: il fascismo,
la guerra, la fame. Gli emigrati
sangiovannesi, scampate purghe e
umiliazioni, nonostante la difficoltà e
la fatica, sono andati avanti con
orgoglio e volontà. A Parigi,
rue des Capucines, Luigi
Bitonti, sarto, antifascista
e sangiovannese puro sangue, ha vestito
i politici più in vista della Terza
Repubblica e gli artisti della Comedie
française. I nostri muratori, i
falegnami e i fabbri, superate le pene e
le umiliazioni, hanno imposto la loro
arte e il loro savoir-faire: sono
diventati piccoli e medi imprenditori.
I fratelli Stenta,
tenaci e capaci, laddove l’eterno hanno
impresso Brunelleschi e Michelangiolo e
Vasari, primeggiano nel conteso settore
produttivo della carta. Innanzi al
Corridoio che l’Arno affianca, la
direzione di Vincenzo Scarcelli:
esperto di turismo e proprietario dell’Hermitage.
Si annoverano, a seguire, molti
rinomati chirurghi, avvocati,
professionisti. Il “vicino” Giuseppe
Marra, prendendo in mano l’Adnkronos,
ha sfondato nell’informazione e
nell’editoria. Rino Cerminara, emigrato
a Roma e poeta di «un paese in Fiore»,
ricorda, in versi, lo struggente
pensiero di chi è partito. Canta: «Amo
quella luce errante sulle chiome dei
tuoi pini ebbri di sole al limite dei
laghi».
La giovanissima Anna
Paletta,
emigrata oltreoceano, ha conquistato i
lettori anglosassoni col suo Bread,
Wine and Angels. Gli
angeli della sua terra natale che
accompagnano gli emigrati. Non sempre. San
Giovanni in Fiore ha anche i suoi
martiri, eroi di un’emigrazione
ingiusta e fatale. Nel
suo libro, l’emigrazione sangiovannese è
presente. Rievocata con emozione, vibra
e diffonde un profondo sentimento. In
America, è assai forte. Ricordiamoci dei
pacchi di tessuto bianco, ricevuti ogni
settimana durante l’ultima guerra.
Ricordiamoci di coloro che,
negli States
e in Canada
(si rileggano gli articoli di Teresa
Migliarese, sul Corriere della Sila),
hanno ottenuto un successo in qualche
modo condiviso: Benedetto
Agostino Iaquinta e il suo
Dino’s, primo hotel di lusso costruito
in città.
Ricordiamoci degli
aiuti ai parenti rimasti.
Ricordiamoci
– e non dimentichiamolo mai –
anche lo spaventoso e irrimediabile sperpero
dei soldi degli emigrati, gettati in
costruzioni abusive ed inutili,
che hanno obbligato tanta povera gente a
rimanere in paesi lontani, senza più
accarezzare il sogno del ritorno. Di chi
è stata la colpa? Interrogativo mai
risolto e sempre eluso.
Bisogna scrivere delle cose
serie e bisogna porsi delle domande.
Perché la bella
terra di Calabria non è
protetta, organizzata, sviluppata e
democraticamente governata dai calabresi
rimasti? I dati e l’occhio
indicano uno spopolamento, la
displasia dell’impresa, l’esodo, la
fuga di massa.
Però,
all’opinione comune l’emigrazione
pare simile a una leggenda.
Anche Pitagora era
un emigrato. Insegnò
l’amicizia, portò delle leggi giuste e
utili. La nostra comunità ha il
vantaggio delle dimensioni: è piccola,
vicina, antica. Ha
radici profonde, è
posta nell’infinito spazio della
contemplazione. Ha il privilegio di una
tradizione colta, filosofica.
Ciononostante, si deve ancora partire,
per trovare, altrove, lavoro, serenità e
pace. Nella nostra cultura c’è
la
Magna Grecia, Gioacchino da Fiore,
Telesio, Campanella,
Mattia Preti,
i versi immortali dei vati latini, Ciardullo,
la
presenza araba.
Anche noi dobbiamo custodire,
gelosi, il bagaglio pesante della
Calabria, della sua gente, della sua
storia. E, al di là dei
dissapori, progettare, assieme, un
futuro più certo, amico, limpido
come il nostro cielo.
Emiliano
Morrone
Centro del Mediterraneo:
SILA, Calabria,
Italia
Il cielo della
Sila riflesso nel Lago
Ampollino
Fotografia:
Francesco Saverio ALESSIO copyright
© 1987
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