Intervista a Wim WENDERS

Il cielo della Sila riflesso nel Lago Ampollino  Fotografia: Francesco Saverio ALESSIO © copyright 1987

Il cielo della Sila riflesso nel Lago Ampollino

Fotografia: Francesco Saverio ALESSIO copyright © 1987


"il Crotonese": venerdì, 24 ottobre 2003

"In Sila ho trovato la possibilità, di pormi delle domande su Dio".

A parlare è il regista tedesco Wim Wenders che nel mese di febbraio del 2002 venne tra le montagne dell'Altopiano silano a girare delle immagini per un lungo lavoro sull'"angelo presente e i paesaggi della contemplazione". A distanza di tempo siamo riusciti a intervistarlo, sia pure via internet, per chiedergli le sensazioni provate durante quel soggiorno tra i monti della Calabria.

Che cosa l'ha suggestionata della montagna silana?

Anzitutto il cielo. Il suo blu iptnotizza lo sguardo. Solo a guardarlo, si resta disarmati e abbagliati per l'intensità e la profondità. C'è, nel colore, la poesia dello spirito del Creatore. La prima volta, arrivai in Sila all'alba. Vidi una trasformazione, dalla muta oscurità della notte al lucente sussurro della terra, ancora umida di riposo. Sopra, uno spazio come tela d'unica tinta. Fissandolo, scorsi un'apertura verso l'al di là.

Ricordai l'immagine di Mosè, che non poté vedere Dio che alle spalle.

Allora, dissi, a me stesso, che da quello strano spioncino si doveva riuscire ad osservarlo frontalmente. Subito pensai che questo avrebbe tolto il senso stesso dell'aspirazione, del desiderio di lasciarsi attraversare, e cambiare, dai segni di Dio.

Più che rappresentare e conoscere, è importante ascoltare e ascoltarsi.

Questo l'ho capito proprio meditando, in Sila, sul farsi del giorno. La natura è il canto del Padre. Solo concependola in questi termini, si riesce a cogliere la profondità della sua bellezza. Sembra che Lui abbia riflettuto a lungo, prima di modulare il suo straordinario Spirito creativo, nelle forme perfette dell'altopiano silano.

Come è arrivato al film sulla Sila, di che cosa si tratta e a che punto si trova?

Penso che il nostro tempo è caratterizzato da particolari forme di ateismo, le quali, spesso, non tengono conto dell'ordine, della meraviglia e del divenire naturale.

Il cosmo, le culture dei popoli, i fenomeni del mondo, le stesse scelte umane - urbanistiche, artistiche, politiche, culturali - mi hanno sempre emozionato e mi hanno spinto a interrogarmi, a rivedermi.

Innanzi a Dio, però, il nostro intelletto si blocca.

Per quanto si sforzi, nel tentativo di codificare e sciogliere i misteri più complessi, non riuscirà mai a spiegare le ragioni della vita e la forza dell'Amore. Il mio film non è sulla Sila, come lei afferma. Posso dire, però, che, in questo caso, ho voluto sondarmi oltre il vissuto e il mio modo di interpretare il cinema. La spiritualità è una caratteristica personale, declinata in modo diverso, in base ai vari soggetti e alle impressioni avute in circostanze fondamentali della mia professione. La sua montagna, però, mi ha spiazzato, mi ha fatto sentire un piccolo essere che cerca, deve cercare.

Allora, ho trovato la possibilità, in Sila, di pormi delle domande su Dio e sull'angelo che ci ha affidato, come in un diario, di fronte alle immagini di una splendida natura che non si può catturare con l'occhio del fotografo né con la macchina da ripresa.

La Bibbia è piena di apparenti paradossi. In ciò è il suo fascino più grande. Anche credere è un apparente paradosso. Sempre in Sila, ho colto delle corrispondenze fra i luoghi del silenzio, contro la parola inefficace di oggi, e il Verbo, quello di cui scrive l'evangelista Giovanni e quello del testo sacro, più in generale.

Il Verbo è l'essenza della vita e si può solo attuare, in un mondo di sofferenza e solitudine.

Qui, interviene l'angelo, che non è tanto necessario ma è già: c'è perché ci si volga al trascendente, al superiore, a Dio. L'angelo è un tramite. E l'angelo si vede lontano dalla confusione e dalle luci artificiali, in Sila. Il lavoro è sempre in corso. E, probabilmente, è la mia impresa più impegnativa e difficile.

Può dirmi qualcosa sulla gente, invece?

Lei mi è simpatico. Ha dei modi anacronistici, che approvo. Credo che dovete prendere davvero coscienza del patrimonio di cui disponete. So quasi nulla della vostra situazione. Però, ho visto che avete poca fiducia nel vostro magnifico altopiano.

Tornerà in Sila?

Si, sicuramente. Per ora, ho altri impegni. Devo girare ancora, in Sila. Ho bisogno di altre immagini. E, comunque, ci verrò ancora perché i vostri boschi, le vostre albe e il vostro cielo sono fra i poemi più belli del Creatore.

EMILIANO MORRON


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La fuga dei laureati italiani all'estero è un fenomeno di cui spesso si discute senza l'appoggio di dati significativi. Analizzando i flussi di laureati italiani che vanno all'estero il fenomeno appare drammatico e in crescita. Mentre all'inizio degli anni 90 meno dello 1% dei nuovi laureati emigrava all'estero, alla fine degli anni 90 circa il 4% dei nuovi laureati lascia l'italia. [...]la percentuale di laureati che lascia il paese e’ quindi quadruplicata tra il 1990 e il 1999
FONTE: "How Large is the Brain Drain from Italy?" (Becker, Ichino and Peri 2002)


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