San
Giovanni in Fiore
è un centro urbano nato intorno all'Archicenobio
Florens fondato da Gioacchino
da Fiore. Un tempo centro mistico e
votato allo Spirito, nel cuore della SILA,
sorge su di un massiccio montuoso al centro del Mediterraneo:
il luogo ideale per sintetizzare e realizzare una
cultura appresa alle fonti stesse della civiltà.
San
Giovanni in Fiore: Rosoni dell'Abside dell'Abbazia
Florense
fotografia:
Francesco Saverio ALESSIO, copyright
© 1981
Gioacchino da Fiore visse
a lungo in Medio-Oriente
per studiare i Vangeli in Aramaico e quindi
attingere alle Scritture originali dei
Discepoli.
--Per via dell'enorme
influenza di Gioacchino sia presso la Santa Sede,
sia presso gli Imperatori Normanni, al territorio
badiale, e quindi ai suoi Abati, fu concessa
assoluta autonomia giurisdizionale ed ampi privilegi
anche in altri luoghi. San Giovanni in Fiore fu per
secoli portofranco per ogni tipo di fuorilegge, dai
nobili che avevano fallito qualche congiura ai
briganti più sanguinari; il popolo di San Giovanni
in Fiore era quindi abituato ad accogliere ogni
nuovo tipo di persona. Le
donne florensi derivano la loro bellezza
dall'incrocio, comune peraltro a tutto il Mediterraneo,
di molte razze diverse nel corso dei secoli.
I nuovi arrivati,
scampati a mille peripezie, trovavano comunque la
durezza di una vita sulle montagne, una economia
misera fatta di dura sopravvivenza e di freddo. La
notte, molto tempo prima dell'alba, si partiva per
raggiungere piccoli appezzamenti di terreno
conquistati col sudore alla foresta, per coltivare
le patate ed il grano, per racimolare la legna per
l'inverno. Dure giornate di lavoro per meno di un
pezzo di pane per poi tornare a casa prima del
tramonto.
Le donne, quelle
più fortunate che possedevano un telaio, tessevano meravigliose
coperte dai mille colori; probabilmente
immigrati di origine greco orientale avevano
introdotto le tecniche ed il gusto per la geometria
ed il colore fin dal primo secolo di vita della
città.
Centro
del Mediterraneo: San Giovanni in Fiore, Sila,
Calabria, Italia
Tessuto
tradizionale Florense
Fotografia: Francesco Saverio ALESSIO copyright
© 1984
Con la dura vita da
montagna e la tremenda povertà non
si aveva molto tempo per filosofare o per dedicarsi
al culto della bellezza. Il culto dell'estetica si
tramandò attraverso le linee femminili per la
maggior parte della popolazione, grazie all'Arte
della Tessitura e per linee maschili, in
gruppi più ristretti di persone, grazie all'Arte Orafa soprattutto,
e, in misura molto minore, grazie all'Architettura; con una
limitata ma dignitosa produzione di oggetti
scultorei, in modo originale le "SIGNE",
delicati e misteriosi volti femminili che fungevano
da chiave di volta, per i portali domestici, di
origine Bizantina.
Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo
scorso inizia
una corrente migratoria dei florensi all'estero
che diventerà un fiume in piena dalla metà degli
anni sessanta in poi.
Le
migliaia di miliardi di lire dei salari di oltre
ottomila florensi viene tramutato in cemento armato
in poco più di dieci anni. Una follia collettiva si
scatena: il Dott. Salvatore
INGLESE responsabile allora per
molti anni della locale sede del C.I.M. scrisse un
saggio dove analizza questo tipo di psicopatologia
sociale:
[...] La ricchezza relativa derivante da
lavoro salariato prestato dagli emigranti, si
ostinava a pietrificarsi in abitazioni deserte ed
abusive che hanno provocato un grave squilibrio
nella gestione razionale del territorio.
L'emigrazione non ha determinato un nuovo sviluppo
"in loco", per cui la rete delle strutture
produttive, o dei servizi, è rimasta atrofica o
comunque rallentata. Ma la pietrificazione del
salario rivelava anche la necessità di
contrastare, rovesciandola nel suo contrario,
l'angoscia della scomparsa conseguente all'esodo
obbligato. In questo territorio, più l'emigrazione
viene patita come sradicamento, o nomadismo
coatto, più si demarcano nuove fondazioni
domestiche. Più si è costretti al movimento, più
si scava nella roccia e si eleva una scheletrica
identità stanziale. [...]*
Un
odio totale verso tutto quello che ricorda il
passato, e quindi la povertà
legata ad esso, insieme al desiderio di mostrare la
nuova condizione di ricco scatenano un disastro:
centinaia di preziosi portali, comprese le "signe", gradini e
davanzali in granito massello distrutti, buttati in
cambio di ridicole e brutte lastre di due centimetri
di spessore però "moderne", l'edificazione selvaggia
di edifici tutti uguali, tutti sbagliati, tutti
inutili porta alla costruzione di una città
invivibile, chiusa, senza possibilità di respiro.
Ogni segno storico, culturale,
geografico, naturale, viene
cancellato e distrutto con furia omicida: il dramma
appare nel tipo dell'edificio ripetuto
ossessivamente: è una casa florense ingrandita!
San
Giovanni in Fiore: Casa tradizionale in Via Cona
Fotografia:
Francesco Saverio ALESSIO copyright
© 1987
La casa tradizionale
è costruita sul dislivello naturale della montagna
ed è composta da un piano seminterrato (catuoiu),
da un piano fuoriterra, e da un soffitto basso (cannizzu), tre
ambienti funzionali al tipo di cultura contadina ed
ai freddi inverni silani. I collegamenti verticali
erano accessibili tramite una botola (catarattu)
ed erano molto ripidi e posti su di un lato
dell'abitazione. È naturale che usare questo tipo
per edifici di dimensioni più ampie e multipiano
comporta una serie di inconvenienti; basti per tutti
che la scala posta di lato e non centralmente, in un
edificio di oltre cento metri quadrati, costringe ad
una distribuzione irrazionale degli ambienti
funzionali ad una casa moderna. Questo errore
fondamentale è stato ripetuto con ostinata
convinzione in centinaia di edifici, resta da
chiedersi: in tutti questi anni quale ruolo
ha ricoperto il locale Ufficio Tecnico,
inamovibile quanto latitante quando si
dovrebbero produrre progetti e piani di sviluppo.
La città contemporanea,
come quella antica, ma in scala sbagliata, si è
sviluppata casa dopo casa, edificio dopo edificio,
con ottusità ostinata, senza alcun concetto e
rispetto nè del sociale, nè del bello, nè della
natura del luogo.
Siamo
rimasti attoniti ed impotenti davanti a questo
sfacelo per tutta la vita.
Ora è tempo di finirla!
Bisogna riconoscere i fallimenti e le politiche
suicide degli ultimi decenni, rimboccarsi le maniche
e riprogrammare le linee di sviluppo del nostro
territorio. E' naturale che i progetti di sviluppo
debbano essere redatti da persone in grado di farlo,
presenti nella nostra città, ma tenuti debitamente
distanti dalle possibilità di espressione da una
classe politica che non conosce e non vuole
conoscere le infinità di possibili
finanziamenti Regionali,
Statali, ed Europei,
e che si affida a Tecnici assolutamente incapaci di
pensare in termini progettuali.
In fine ma non ultimo:
fin quando gli Assessori all'Urbanistica o i
componenti lo Staff dell'Ufficio Tecnico, saranno
quelli che abbiamo avuto finora e non Tecnici
preparati, onesti e con il coraggio necessario per
operare in piena autonomia, questa città sarà
destinata ad una qualità della vita ancora peggiore
di quella già pessima che ci hanno costretto a
vivere generazioni di ignoranti che hanno
governato San Giovanni in Fiore...la
città di Gioacchino
da Fiore.
Questa situazione è drammatica,
non solo perché ha consentito la perdita
irrimediabile di fiumi di miliardi che con progetti
adeguati avrebbero assicurato la salvaguardia, o
recupero, ambientale, storico, artistico, necessari
per un logico, possibile sviluppo turistico e di
qualità della vita, ma soprattutto perché ha
obbligato intere
generazioni di intellettuali, dai medici agli
artisti, all'emigrazione o
all'appiattimento professionale.
**
Quasi tutti i nostri più brillanti intellettuali
vivono in altre Città, in altre Regioni, in
altre Nazioni, fornendo la loro preziosa opera
dove viene ragionevolmente richiesta ed
adeguatamente remunerata.
La domanda è questa:
se chi svolge un'attività intellettuale
specialistica emigra perché qui non è richiesto, o
riconosciuto adeguatamente, chi è rimasto a decidere le
sorti della nostra città?
-** La
fuga dei laureati italiani all'estero è un fenomeno di cui spesso
si discute senza l'appoggio di dati
significativi. Analizzando
i flussi di laureati italiani che vanno
all'estero
il fenomeno appare
drammatico e in crescita. Mentre all'inizio
degli anni 90 meno dello 1% dei nuovi laureati
emigrava all'estero, alla fine degli anni 90
circa il 4% dei nuovi laureati lascia l'italia.
[...]la percentuale di laureati che lascia il
paese e’ quindi quadruplicata tra il 1990 e il
1999
FONTE: "How Large is the Brain Drain
from Italy?" (Becker, Ichino and Peri 2002)
MEZZOGIORNO:
FUGA CERVELLI VERSO IL
NORD DIVENTA EMORRAGIA
ROMA
- Aumentano sempre di piu' i giovani con la laurea
in tasca che dalle regioni del Sud partono alla
ricerca di un lavoro nel resto d'Italia. Tanto che
dalla meta' degli anni '90 si puo' dire che, dopo
alcuni anni di rallentamento, la fuga di cervelli e'
diventata una vera e propria emorragia. Questa
rilevante perdita di capitale umano qualificato,
''grave per il futuro sviluppo dell'area'', e' stata
registrata dallo Svimez. [...]
Uno
sguardo ai numeri delle varie regioni non lascia
spazio a dubbi. In Calabria, per esempio, nel 1994
il tasso di emigrazione (cioe' la percentuale tra il
numero di laureati persi rispetto a quelli
residenti) era pari all'1,3%: appena cinque anni
dopo il valore era esattamente raddoppiato, passando
al 2,6%. Il tasso di immigrazione, invece, dopo
essere cresciuto dall'1,1% del '94 al 2,4% del '98,
l'anno successivo era crollato di nuovo all'1,1%.
Con un saldo tra laureati in uscita e quelli in
entrata chiaramente sbilanciato verso i primi. [...]
Alla
luce di questi risultati, quindi, lo Svimez
sottolinea che ''nel Mezzogiorno si sta
registrando una vera e propria emorragia di
risorse umane qualificate'', un
fenomeno che ''dovrebbe essere preso in seria
considerazione nell'ambito degli interventi di
politica economica rivolti al Mezzogiorno
d'Italia''.
--rif.:
http://www.ansa.it/main/notizie/fdg/200505291725200926/200505291725200926.html
*L'INQUIETA
ALLEANZA TRA PSICOPATOLOGIA E ANTROPOLOGIA
(ricordi e riflessioni da un'esperienza
sul campo), tratto da I
fogli di Oriss, n° 1, 1993.
*THE
RESTLESS ALLIANCE BETWEEN PSYCHOPATHOLOGY AND
ANTHROPOLOGY
(memories
and reflections of an experience on the field) drawn
of the "I
fogli di Oriss",
N 1, on 1993.
Salvatore
INGLESE: doctor, psychiatrist and
psychotherapist... Since years he studies the
psychic illness of the populations of migrants in
Italy, France, Switzerland and Canada...
*L'ALLIANCE
AGITÉE ENTRE LA PSYCHOPATHOLOGIE ET
L'ANTHROPOLOGIE
(mémoires
et réflexions d'une expérience sur le champ) tirée
des "I
fogli di Oriss",
n° 1, 1993.
Salvatore
INGLESE: médecin, psychiatre et
psychothérapeute... Depuis plusieurs années, il
étudie le malaise psychique des populations de
migrants en Italie, France, Suisse et Canada...
*:DE
ONBEHAAGLIJKE ALLIANTIE TUSSEN PSYCHOPATHOLOGIE
EN ANTROPOLOGIE
(herinneringen
en beraden van een ervaring op het terrein) delen
uit “I
fogli di Oriss”
n. 1, 1993.
Salvatore
INGLESE: arts, psychiater, psycoterapeute... Sinds
verschillende jaren bestudeert hij de geestelijke
malaise van de migratie bevolkingen in Italie,
Frankrijk, Switserland en Canada...
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