Cari
amici di emigrati.it,
navigando
tra le pagine del vostro sito, mi sono soffermato
con particolare interesse su quelle che parlano
del grande esodo
migratorio degli italiani. E, a
tal riguardo, vorrei fare alcune doverose
osservazioni.
Nel
sito viene giustamente ricordato che, a partire dal 1861
fino ad oggi, milioni e milioni di italiani hanno
abbandonato la nostra penisola per andare a
trovare un lavoro all’estero. Poi, però, si afferma
che (cito testualmente) «[…] Si trattò di un esodo
che toccò tutte le regioni italiane.
Tra
il 1876 e il 1900
l'esodo interessò prevalentemente le regioni
settentrionali con tre regioni che fornirono da
sole il 47 per cento dell'intero contingente
migratorio: il Veneto (17,9), il
Friuli Venezia Giulia (16,1 per
cento) e il Piemonte (12,5 per
cento) […] ».
Questa
affermazione, benché sia precisa nel riportare
il puro e semplice dato numerico, risulta assai
fuorviante per comprendere la “sostanza” del fenomeno migratorio
italiano. Intendo dire che se è
vero che «Si trattò di un esodo che toccò tutte le
regioni italiane», ciò avvenne solo a partire dal
1861, cioé dopo che
fu compiuta l’unità d’Italia;
e se è vero che «tra il 1876 e
il 1900 l'esodo interessò
prevalentemente le regioni settentrionali », ciò è
vero solo in quanto fino al 1861 l’esodo
interessava quasi unicamente le regioni
dell’Italia settentrionale.
Insomma,
sembra quasi strano a dirsi, ma la piaga
dell’emigrazione era un fenomeno riguardante
esclusivamente il Nord Italia, che
fu trasferito al Sud solo in seguito alla
fine del Regno borbonico.
Ancora
fino al 1880, l'80% degli
emigranti italiani proveniva dal Nord, il 7% dal
Centro e solo il 13% dal Sud.
Ma
già tra il 1880 e il 1925, si
registrò una netta inversione di tendenza a
sfavore del Meridione: su un totale di 16.630.000
italiani partiti per l'estero, la percentuale
degli emigranti settentrionali si abbassò
sensibilmente al 50% (8.308.000, di cui ben
3.632.000 veneti), mentre la percentuale degli
emigranti meridionali addirittura si triplicò,
salendo al 39% (6.503.000 unità) !
Del
resto, questa pura e semplice verità si può
cogliere ancora più facilmente non appena si
guardi con diversa attenzione alla stessa tabella,
presente nel sito, che riporta i
dati ufficiali dell’ISTAT sui flussi migratori
regione per regione. Sono gli
stessi dati che parlano chiaro: nei due periodi
presi in considerazione, quello tra il 1876 e il
1900 e quello tra il 1901 e il 1915, fatta
eccezione per l’Emilia, tutte le regioni
settentrionali registrano una decremento relativo
del loro flusso migratorio. Pur a fronte di un
aumento in termini assoluti, nel periodo
1901-1915, del numero complessivo degli emigranti
di ben 3.511.838 unità in più rispetto al
precedente periodo 1876-1900, le regioni
settentrionali risultano coinvolte in questo esodo
con percentuali relative assai minori. Infatti,
come si può vedere, anche le regioni
tradizionalmente colpite dalla piaga
dell’emigrazione (Piemonte, Veneto
e Friuli) registrano una
sensibilissima contrazione relativa dei loro
flussi migratori:
Regioni
|
1876-1900
|
1901-1915
|
Piemonte
|
13,5
%
|
9,5%
|
Lombardia
|
9,9%
|
9,4%
|
Liguria
|
17,9%
|
10,1%
|
Veneto
|
2,2%
|
1,2%
|
Friuli
Venezia Giulia
|
16,1%
|
6,4%
|
Toscana
|
5,5%
|
5,4%
|
Di
contro a questa tendenza relativamente positiva
delle regioni settentrionali, le regioni
meridionali subirono invece un brusco inasprimento
dei loro flussi migratori – sia in termini
assoluti che in termini relativi. Non v’è dubbio
che, mentre il Piemonte, l’ex feudo
dei Savoia, riuscì ad arrestare la sua
tradizionale emorragia migratoria grazie alle
nuove politiche economiche e finanziarie
dell’Italia unita, per colpa di quelle
stesse politiche concepite ed attuate
dall’entourage savoiardo tutte
le regioni meridionali dell’ex Regno delle Due
Sicilie subirono, invece, un drastico
peggioramento delle loro condizioni di vita.
In questo nuovo quadro generale negativo, furono
la Sicilia
e la Calabria
a subire i maggiori salassi. Infatti:
Regioni
|
1876-1900
|
1901-1915
|
Abruzzo
|
2,1%
|
5,5%
|
Campania
|
9,9%
|
10,9%
|
Calabria
|
5,2%
|
6,9%
|
Puglia
|
1,0%
|
3,8%
|
Sicilia
|
4,3%
|
12,8%
|
E’
quasi superfluo sottolineare che questa svolta
negativa per il Mezzogiorno,
realizzatasi negli anni immediatamente
successivi all’unificazione politica dell’Italia
sotto il trono dei Savoia, ha
continuato a produrre, ininterrottamente, i suoi effetti nefasti
fino ai nostri giorni.
Mi
sono sentito quasi in obbligo a rendere note le
suddette osservazioni in quanto, solo qualche
settimana fa, è stato pubblicato a San Giovanni in
Fiore
l’Epopea di un disertore,
un breve componimento in versi di Francesco
Scarcelli che narra le vicissitudini di
suo nonno, Domenico Scarcelli, il quale venne
chiamato alle armi durante la prima guerra
mondiale e, a contatto con gli orrori della guerra
e la durezza inumana della vita in trincea,
ottenuta una licenza, si diede alla macchia e non
fece più ritorno al fronte.
Ora,
come si sa, l’Epopea di un disertore
è accompagnata da una mia Introduzione. Lo studio
che mi ha richiesto la sua stesura è stato per me
un’occasione importante per ritornare a riflettere
con maggiore attenzione su una serie di
problematiche storico-sociali inerenti al processo
di unificazione politica dell’Italia e, in maniera
particolare, sul peggioramento assoluto delle
condizioni di vita delle genti meridionali che si
verificò a partire da quegli eventi. Alla fine, ne
è venuta fuori una ri-considerazione di alcuni
aspetti centrali della “questione
meridionale” del tutto coerente,
ma decisamente contro-corrente rispetto a tutta
una congerie di miti patriottico-risorgimentali
che ci viene ancora oggi inculcata da tanti,
troppi libri di storia.
Tuttavia,
questa serie di osservazioni
contro-risorgimentali che
ho sviluppato, partendo dalla considerazione del
fenomeno del brigantaggio come una vera e propria
“guerra civile” delle genti
meridionali contro gli invasori savoiardi, per
motivate ragioni editoriali è presente solo in
minima parte nella Introduzione che accompagna l’Epopea
di un disertore di Francesco Scarcelli.
Colgo quindi con vero piacere il vostro
invito a pubblicarla in maniera completa e, a
scanso di ogni possibile equivoco, preciso fin
d’ora che non ho mai avuto delle simpatie
politiche filo-borboniche. Semplicemente, non ho
fatto altro che ricercare la verità storica. E
questi sono i risultati.
--Inoltre,
vorrei approfittare ancora della vostra
disponibilità per rendere giustizia a una nota a
piè di pagina della mia Introduzione, che è stata
maldestramente tagliata nella fase di revisione
delle bozze dell’Epopea di un disertore.
--In
apertura del II paragrafo “Uno spaccato di storia
sociale” ho sostenuto che: «Sullo sfondo
della vicenda personale di un semplice contadino
chiamato a partecipare alla Grande Guerra,
l’Epopea di un disertore ci offre la possibilità
di gettare uno sguardo sulla
storia sociale di San Giovanni in Fiore e,
in particolare, sulla vita quotidiana degli
strati popolari, dando così un ulteriore
contributo a colmare una lacuna della nostra
storia locale che solo negli ultimi anni ha
iniziato ad essere considerata con maggiore
attenzione».
Bene,
a questo punto, nelle mie intenzioni, vi sarebbe
dovuta essere una nota (che riporto qui di seguito
così com’era). Pur non essendo affatto esaustiva
sull’argomento, essa non rappresenta solo un
giusto riconoscimento verso coloro che, prima di
Francesco Scarcelli, hanno
dedicato ben di più di un qualche sporadico
interesse verso la storia sociale di San
Giovanni in Fiore, ma sta anche a
indicare che ogni futuro lavoro, in merito alla
nostra storia locale, non significa più scrivere a
partire da una tabula rasa.
Infine,
per toccare
direttamente il tema dell’emigrazione,
vorrei proporvi la lettura di un breve brano
estrapolato dalla mia Introduzione al libro di
Scarcelli (anche, ma non solo, per fare ad esso un
po’ di pubblicità!).