La piscina della
pisciazza e del pisciatune, del
pisciaturu e del pisciu: a colpi
di urina e minchiazza. Domenico
Barberio, vicedirettore della
Voce, va giù dritto su Mario
Oliverio, in fatto di opere
pubbliche, e chiama in causa il
diessino Giovanni Iaquinta
La
Voce di Fiore,
venerdì 10 novembre 2006- di Domenico
Barberio
Per
chi ormai non si meraviglia più di
nulla la parata carnevalizia addobbata
dal buon lupo
Mario, e dal
ridanciano baffo
Nicoletti (vien da
chiedersi, che ci sarà mai da ridere),
rientra nella normale prassi politica
sangiovannese. Per chi è ancora
ingenuo e mezz’incantato invece, la
seriosa presentazione fa presagire
nuovi e fiduciosi progetti di rilancio
per la nostra San Giovanni bella.
Tranne Giovanni Iaquinta e qualcun
altro che bazzica magari Via Roma e
magari la sede dei DS,
nessuno, ma proprio nessuno, può
credere ad una cazzata del genere.
Più
di vent’anni fa era sempre lui, Mario
Oliverio, in un
affollato convegno all’hotel Kursal, a
dipingere le magnifiche doti
architettoniche della grande
costruzione, le grandi prospettive che
si aprivano con la nuova piscina
comunale. Per chi, come me, all’epoca
aveva dieci anni, imberbe in volto e
con la testa fera le nuvole, la
piscina era davvero qualcosa di
fantasmagorico, mirabolante,
straordinario. Solo l’idea che ci
sarebbe stata, proiettava tutti in
sogni fantastici: il bagno anche
d’inverno, lo strano sapore del cloro,
i tuffi, le docce, le ragazze in
costume, i divertimenti con gli amici.
Ah!, La piscina! E poi, lui, Mario
Oliverio! che avrebbe
dato concretezza a sconnessi progetti
elaborati dall’orda di ragazzini
entusiasti e scalmanati. Chi l’avrebbe
detto che la piscina dei nostri sogni
un misero pisciatoio sarebbe
diventata. Ritrovo per truppe di
scolari “scioperanti”, coppiette in
cerca d’ intimità, vandali furiosi e
distruttivi. La
piscina è stata, è il simbolo
dell’incuria amministrativa, dello
spreco di denaro pubblico, della
mancanza di senso civico della
nostra San Giovanni bella.
Un monumento all’incapacità collettiva
che ora si vorrebbe abbattere o
quantomeno riconvertire.
Viene
in mente un altro progetto di
riconversione: l’ex mattatoio comunale
(“u macellu viecchiu”) riconvertito in
palazzo della cultura, a sua volta
riconvertito in ritrovo per anziani
giocatori di carte. Su quella
costruzione, in bella mostra, finché
non terminarono i lavori (anche quelli
lunghi, interminabili), campeggiava
una lunga frase, scritta in grandi
caratteri rosso fuoco: ”il palazzo
della cultura comunale = la cultura
del palazzo comunale = 0”. Aspettiamo
impazienti l’anonimo scrittore in
località “Pirainella".
Domenico
Barberio
P.S.:
uno dei messaggi del Direttore Emiliano
Morrone ai messaggi in risposta
all'articolo:
Massimo
D’Alema a San Giovanni in Fiore: il
commento del cattocomunista
berlusconiano Emiliano Morrone.
"Dovevi venire prima, D’Alema. Ora non
sei più credibile" - sabato
25 marzo 2006
Caro
Francesco,
puntualizzo
per l’ultima volta alcune cose che
stanno su questo sito e in altri luoghi.
Le elezioni, in realtà, sono andate
così. Al primo turno, Barile ha preso 3
mila e ottocento voti circa. Con tutti
gli imbrogli organizzati sulla base
della confusione tra il simbolo di
Vattimo e il nome del candidato, il
filosofo ha ottenuto, si badi, non
1429 preferenze, come riportato al
termine delle operazioni, ma 2740 (la
fonte è il presidente dell’attuale
consiglio comunale). Contando i voti
assegnati all’avversarsio di
centrosinistra piuttosto che al
filosofo, il ballottaggio sarebbe stato
fra Vattimo e Barile. A quel punto,
spiegami chi l’avrebbe spuntata. Abbiamo
denunciato al Prefetto di Cosenza
irregolarità elettorali. Non è mai
successo qualcosa. Di notte,
intorno alle 22,30, dopo i conteggi, i
seggi sono stati riaperti. La tv locale
assegnava due consiglieri a Vattimo e
749 voti di lista. Inspiegabilmente,
dopo un po’ di tempo, si è scesi intorno
ai 640. Per Riccardo Succurro, dovevo
stare "attento a strane operazioni". Le
convocazioni inviate a Vattimo sono
sempre state tardive, quando era
consigliere, e, in un caso, fuori della
legge. Potevamo far cadere il consiglio,
ricorrendo al Tar. La città, per quanta
campagna informativa sia stata fatta, ha
mostrato totale indifferenza. Vattimo è
stato ripetutamente denigrato, a partire
dalla sinistra tradizionale, Piluso in
testa. I confronti televisivi sono stati
organizzati in date che potevano
compromettere la partecipazione del
filosofo. Questa è storia, la conoscono
tutti. C’è stato un incredibile
dispiegamento di forze per impedire la
vittoria e l’azione di Vattimo. Ora
vieni a parlarmi di incoerenza, di scuse
e scusanti. Tu, dove eri? Hai detto
qualcosa, a riguardo. Adesso, è troppo
tardi per recriminare. La verità è che
c’è stata un’espulsione di Vattimo
voluta dagli inizi. Io stesso ho provato
a convincere Vattimo che doveva restare.
L’ultimo episodio, con una convocazione
furbescamente rimediata in extremis ma
fuori del tempo utile, lo ha persuaso
che San Giovanni in
Fiore ha logiche che possono
intendere e accettare solo i suoi
abitanti, troppo lontani, per
abitudine, dalla vita pubblica e
politica. Vattimo si
sarebbe perfino trasferito a San
Giovanni in Fiore, trovandosi alle porte
della pensione. Me lo ha detto
sinceramente e varie volte. Anche per
evitare questa eventualità, il
dispiegamento di forze avverse è stato
enorme, al punto che Vattimo ha
preferito rimanere nella piatta Torino.
Spiegami, poi, che cosa ha impedito
all’attuale sinistra di governo di
affidargli l’assessorato alla cultura.
Il che avrebbe comportato notevoli
vantaggi per la nostra città. Per quanto
riguarda la questione del tuo voto come
contributo all’affermazione nazionale
della Voce, mi dispiace ma hai ancora
frainteso. "Malafides superveniens non
nocet". Io ho solo scritto che oggi
abbiamo un organo che rappresenta le
nostre esigenze e le nostre potenzialità
- di florensi fuori del coro - in un
contesto molto più esteso. Più sotto, ti
riporto un giudizio di
Ida Dominijanni, che forse può
servire a illuminarci politicamente
sul significato del movimento di
Vattimo. Con rispetto.
Grazie.
Emiliano Morrone