Studiamo
le pagine dedicate da La
gente d'Italia alla vicenda di Monongah
e alla città di Gioacchino
da Fiore.
In
un articolo di Pietro Mariano Benni,
troviamo una notizia interessante: l'ambasciatore
d'Italia a Washington, Sergio Vento, ha formato un
comitato per i caduti sul lavoro di Monongah.
Probabilmente, lo presiederà il Ministro per gli
italiani nel mondo, Mirko Tremaglia.
Il pezzo, però, è denso di espedienti correttivi:
s'apre tentando di colpire il lettore, col
contrasto fra l'austera sacralità dell'Abbazia Florense
e il trillo, ripetuto, del suo cellulare con
scheda Tim, proprio dentro le mura. All'interno
e nei pressi della chiesa badiale, la linea di
questa compagnia è quasi nulla.
Benni
scrive delle sue scuse a Gioacchino da Fiore e, per
rafforzare l'immagine creata, sospesa fra teologia e
tecnologia, spiritualità e banalità contemporanea,
cita il «Ghibellin
fuggiasco»,
Dante Alighieri,
riportandolo così «Lucemi
accanto»e,
prima: «lo
calabrese abate Gioacchino di spirito profetico
dotato».
Il
passo sul mistico florense, nel dodicesimo canto
del Paradiso, è come segue: "(...) e lucemi da
lato,/ il calavrese abate Giovacchino,/ di
spirito profetico dotato».
A
proposito di San
Giovanni in Fiore, dichiara
Benni: «Ero venuto a conoscere questo
luogo e la sua gente ma sotto sotto avevo
sperato in un interessamento speciale
dell'antico abate per la causa delle vittime di
Monongah. Il fatto
che la telefonata del direttore mi giungesse, in
condizioni quasi impossibili, proprio di fronte
al loculo che aveva ospitato fino a qualche anno
fa le reliquie di Gioacchino, mi
è sembrato, già , concedetemi questa
debolezza, un piccolo miracolo».
Il
luogo individuato da Benni è molto al di sotto
della linea di terra, isolato da robustissime
pareti. Si percorre una lunga e stretta scala, per
raggiungerlo. Lì, ogni
connessione telefonica è utopia; c'è solo il silenzio costante
della preghiera.
Questa evidente forzatura, e
l'assenza di un minimo richiamo agli studi di
Salvatore
Inglese, ha
indotto il sospetto di una certa costruita
documentazione, con
argomenti tipicamente retorici.
A
pagina 12,
Porpiglia scrive di San
Giovanni in Fiore: «Dal
punto di vista urbanistico la cittadina ha un
suo centro storico cui fa da contraltare, senza
però creare conflittualità, una zona nuova,
nella parte alta del paese, dove sono state
costruite case confortevoli ed accoglienti».
Mentre, a pagina 9, in grassetto si legge: «Lasciando
il centro storico e dirigendosi nella parte
nuova della città si resta perplessi. Le
abitazioni nuove non hanno la bellezza di quelle
antiche. Sono deserte e senza storia.
Anche lungo le strade del centro non si respira
l'aria del passato, dell'antico, della
tradizione. (...) Sono
le amministrazioni locali a venire incontro ai
giovani. I più vanno via da San Giovanni
in Fiore. A cento anni di distanza il
dramma dell'emigrazione continua...».
Queste
contraddizioni si commentano da sole. Sembrano gli
strani sillogismi di Hegel sulla libertà,
contestati da Karl Popper.
Le
abitazioni della città nuova sono confortevoli e
accoglienti oppure deserte e senza storia? Sono,
forse, confortevoli ma deserte? E perchè? Su ciò,
La gente
d'Italia non dice.
In
che modo le amministrazioni locali vanno
incontro ai giovani, se, a distanza di cento
anni, il dramma dell'emigrazione continua? Lo chiarisca Mimmo
Porpiglia, Direttore
di La
Gente d'Italia.
Emiliano MORRONE
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